19/11/2021 - Un venerdi da leoni
Marie Curie: vita e vittorie di un genio ossessivo
«Sono di quelli che pensano che la scienza abbia in sé una grande bellezza. Uno scienziato nel suo laboratorio non è soltanto un tecnico: è anche un fanciullo posto in faccia ai fenomeni naturali, che lo impressionano come in una fiaba»
È difficile conciliare la versione che la Storia ci ha tramandato di Marie Curie - austera e perfezionista, china sul tavolo del laboratorio in un logoro abito nero - con l'immagine di un bambino con gli occhi sgranati dalla meraviglia. Eppure queste e molte altre anime convissero nella prima scienziata Premio Nobel per la fisica nel 1903 e per la chimica nel 1911 (tra le sole due persone ad averne ricevuti due in discipline diverse), costretta a sfidare pregiudizi di ogni genere, mentre combatteva una personale battaglia contro la depressione.
Fragilità e genialità furono aspetti finemente intrecciati nella vita della chimica e fisica polacca nata il 7 novembre 1867 a Varsavia (Polonia), la cui esistenza, riletta al di là del mito, appare sorprendentemente moderna.
I primi anni. Marya Salomee Sklodowska detta Manya è l'ultima di 5 fratelli, figli di due insegnanti: Wladyslaw e Bronislava. La Polonia è controllata dalla Russia: soldati russi pattugliano le scuole e, per le ragazze, l'istruzione superiore è praticamente un miraggio. Ma la bambina ha la stoffa per imparare, e dal padre Wladyslaw apprende la passione per la ricerca, per la fisica e la chimica.
Intanto la madre si ammala e, nel 1874 muore di tifo, seguita a ruota da Zosia, sorella maggiore di Marie. Il doppio lutto segna profondamente la piccola, cresciuta secondo l'educazione cattolica, che si ripromette di abbandonare per sempre ogni forma credo, mentre scivola in una cupa tristezza.
Finalmente Parigi. Il conforto arriva dai libri. Marie completa le scuole superiori e stringe un patto con la sorella Bronya, tre anni più vecchia: lavorerà come governante per mantenere Bronya agli studi di medicina a Parigi, e dopo la laurea, la sorella farà altrettanto per lei. Lo scambio funziona e a 24 anni, senza conoscere una parola di francese, Marie approda alla Sorbona.
La sua nuova casa è una soffitta del Quartiere Latino, al sesto piano e senza riscaldamento. Sopravvive con pochissimo: un po' di pane, frutta, tè e cioccolata, una pila di vestiti sotto i quali dormire per non congelare. È malnutrita e sviene per gli stenti, ma è ossessionata dagli studi, e nel giro di tre anni si laurea in fisica e matematica alla Sorbona. Il piano è diplomarsi come insegnante e tornare a Varsavia.
Pierre. Per sbarcare il lunario, Marie ottiene una borsa di studio all'Università su come tracciare le proprietà magnetiche dei vari acciai. L'attrezzatura è ingombrante e richiede spazio, così qualcuno fa il nome di Pierre Curie, un fisico esperto nelle leggi del magnetismo. Di posto in laboratorio Pierre non ne ha, ma quell'incontro cambierà per sempre le vite di entrambi.
Pierre Curie, 8 anni più vecchio di Marie, scienziato di fama internazionale, è un outsider nel mondo accademico, interessato alla ricerca più che a titoli e prestigio. Si guadagna da vivere come capo di laboratorio della Scuola di Fisica e Chimica industriale di Parigi e ha già all'attivo con il fratello Jacques una scoperta importante: quella della piezoelettricità (un potenziale elettrico che si genera quando cristalli vengono compressi).
Marie infonde a Pierre una nuova ambizione, e in cambio riceve una comprensione assoluta del valore centrale che la scienza ha nella sua vita. Entrambi votati all'isolamento, iniziano a Parigi un'esistenza in simbiosi, ritirata e scandita dal lavoro.
Scrive Pierre in quel periodo
"sognavamo di vivere in un mondo alquanto remoto dagli esseri umani..."
I misteriosi "raggi dell'uranio". Nel 1897, a 30 anni, Marie dà alla luce una bambina, Irène, della quale annota meticolosamente ogni dato dello sviluppo, come in un esperimento. Affidata la piccola alle cure del padre di Pierre, si concentra sul lavoro quasi dimenticato di Henri Becquerel: nel 1896, mentre studiava la fosforescenza dei sali di uranio, il fisico francese si era accorto che il materiale emetteva raggi in grado di impressionare una lastra fotografica, anche senza bisogno di eccitazione da parte della luce solare.
Marie sceglie di studiare il fenomeno utilizzando uno strumento messo a punto e perfezionato da Pierre: l'elettrometro, capace di misurare le correnti elettriche deboli. La sua è un'analisi sistematica dell'uranio in diversi composti e in diverse condizioni, che la porta a una prima, straordinaria conclusione: l'emettere radiazioni è una proprietà atomica dell'elemento uranio (che Marie chiamerà radioattività) che non può essere cioè modificata da alcuna procedura chimica.
Ma se è l’atomo a emanare radiazione, allora non può essere indivisibile: secoli di convinzioni filosofiche si sgretolano in quello che in molti definiranno uno dei contributi concettuali più importanti della storia della fisica.
Nell'estate 1898, Marie e Pierre (che si è lanciato a capofitto negli studi della moglie) scrivono di aver identificato una sostanza 300 volte più attiva dell'uranio: «Crediamo che la sostanza che abbiamo estratto dalla pechblenda contenga un metallo mai identificato finora… suggeriamo di chiamarlo polonio, dal nome del Paese di origine di uno di noi». A dicembre dello stesso anno, i Curie informano l'Accademia delle Scienze di aver scoperto un'altra sostanza, con una radioattività 900 volte maggiore di quella dell'uranio, e una linea spettrale mai osservata prima: era quella del radio (Ra).
Dall'inizio delle ricerche è passato solo un anno. Come scrive Barbara Goldsmith in Genio ossessivo: il mondo interiore di Marie Curie, «col passare degli anni, la scoperta di Marie Curie del polonio si sarebbe persa. La sua colossale conquista sarebbe stato il radio. Ma in realtà il suo più grande risultato fu l'uso di un metodo completamente nuovo per scoprire gli elementi misurandone la radioattività».
Dopo quattro anni di lavoro massacrante e 10 tonnellate di residui di pechblenda lavorati, Marie avrà ottenuto una quantità di radio puro somigliante a pochi granelli di sabbia. Nel giugno 1903, nella sua tesi di dottorato, ne presenta finalmente al mondo il peso atomico: 225, una misura quasi esatta (oggi sappiamo che è 226).
Nel frattempo Pierre, che come la moglie trasporta fialette di radio in tasca, inizia ad intuirne le potenzialità in campo medico, ma anche le ripercussioni sulla salute. Se oggi voleste fare domanda per consultare, alla Biliothéque Nationale di Parigi, uno dei quaderni su cui i Curie appuntavano le loro scoperte, dovreste dichiarare che agite a vostro rischio e pericolo (i manoscritti sono ancora radioattivi). Ma allora gli effetti del radio sull'organismo non erano noti: Pierre accusa sempre più debilitanti dolori alle ossa.
attenzioni indesiderate. Il Nobel per la Fisica per le ricerche sui fenomeni radioattivi arriva nel 1903 - a metà con Becquerel - come una bomba: la relazione tra Pierre e Marie e la figura della scienziata fragile capace di estrarre un elemento "magico" sono come miele per la stampa, che cinge d'assedio i due solitari scienziati. I Curie, convinti del valore che il radio può avere per la società, hanno scelto di non brevettarne la scoperta, facendone l'elemento più ricercato in ambito medico e industriale. La loro fama è ormai internazionale: è la fine della ricerca "dura e pura" isolati nel capannone.
Il giorno più buio. Il 19 aprile 1906, mentre attraversa la strada in una giornata di pioggia, Pierre Curie viene investito e ucciso da un carro vicino a Pont Neuf, a Parigi. Marie rimane sola con le figlie Irène ed Ève, di 9 e 2 anni. A 38 anni, vedova, diviene la prima donna a insegnare alla Sorbona: non per i meriti personali, ma perché "eredita" il posto del marito. La sua prima lezione inizia da dove era finita l'ultima di Pierre.
Marie si chiude nel silenzio, rintanandosi in laboratorio fino a notte fonda. Delega la cura delle figlie al padre di Pierre, mentre si occupa della loro istruzione: per due anni le piccole riceveranno lezioni private a rotazione da un gruppo di amici della coppia, professori alla Sorbona. Su Irène, l'esperimento educativo pare funzionare: sarà la seconda donna della storia a ricevere il Nobel per la Chimica.
Onori e disonori. Nel 1911 arriva il secondo Nobel di Marie, per la scoperta di radio e polonio. Ma il premio e l'invito alla prestigiosa Conferenza Solvay (unica donna tra fisici del calibro di Einstein e Planck) non cancellano un'annata terribile. La candidatura di Marie all'Accademia delle Scienze viene scartata in un clima maschilista, razzista e antisemita. Nonostante le origini cattoliche, il cognome Sklodowska e la nazionalità polacca suggeriscono radici ebraiche, e si insinua che la scienziata sia stata favorita dal prestigio del marito.
Intanto fa scandalo la sua presunta relazione con il fisico e matematico Paul Langevin, ex studente di Pierre, sposato e con quattro figli. La questione investe l'intero mondo accademico parigino, fino ai vertici del Ministero dell'Istruzione francese. Marie, non la scienziata, ma la "straniera rubamariti", è costretta a barricarsi in casa con le figlie, e si vede più volte invitata ad abbandonare la Francia.
Lo stesso comitato del Nobel le chiederà ragione della sua vita privata, ma Marie, in una fiera difesa dalle insinuazioni, si recherà a Stoccolma a pronunciare il suo discorso di accettazione, in cui rivendica i suoi meriti e il contributo di Pierre. La vicenda la porterà alla crisi depressiva più grave della sua vita: impiegherà un anno a riprendersi, solo grazie all'aiuto e alla solidarietà di una manciata di amici scienziati.
Crocerossina. Nel 1914, mentre nasce il laboratorio Curie all'Istituto Pasteur di Parigi, scoppia la guerra, con Marie Curie in prima linea per la Francia che l'ha bistrattata. Da sola trascina una valigia di piombo con le intere scorte nazionali di radio in treno da Parigi a Bordeaux, per metterle al sicuro dai soldati.
Durante il conflitto, prima da sola e poi con Irène, predisporrà 20 camion dotati di strumentazioni per i raggi X sequestrate ai laboratori e agli studi medici abbandonati per la guerra, di lastre fotografiche e di ampolle contenenti radon. Nascono così le prime unità mobili di soccorso radiografico che possano raggiungere le zone più difficili (una la guiderà di persona, con una fascia della Croce Rossa al braccio). Fino ad allora, le mutilazioni inferte ai soldati erano disordinate e casuali: sarà Marie a istruire il personale di soccorso su come leggere le radiografie. Durante la Guerra se ne eseguiranno più di un milione.
L'eredità e il mito. Sarà un'altra donna, la giornalista americana Marie "Missy" Maloney, a riabilitare il nome di Marie Curie, organizzandole, dopo la guerra, un tour di presentazione trionfale negli USA, in cui la scienziata verrà presentata come colei che "cura il cancro". I fondi ricavati finanzieranno l'acquisto di un grammo di radio per l'Istituto Curie, e nessuno parlerà più dell'affaire Langevin.
Negli ultimi anni della sua vita Marie passerà il testimone alla figlia Irène e al genero Frédéric Joliot: vivrà abbastanza da vederli scoprire la radioattività artificiale. Il 4 luglio 1934, a 67 anni, muore di anemia aplastica: il suo midollo osseo non riesce più a funzionare perché danneggiato dal lungo accumulo di radiazioni. Sarà sepolta a Sceaux accanto a Pierre, e poi al Panthéon, nel 1995. Fino alla fine si ostina nel dire che le serve solo un po' di aria fresca: mai ammetterà di essere stata tradita dal suo amato radio.